Demetra e Trofonio
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Pausania ora ci parla di Trofonio e del suo oracolo di Lebadea, nel bosco del fiume Ercina: “nell’interno della grotta ci sono le sorgenti del fiume e delle statue stanti: intorno agli scettri che esse reggono sono avvolti dei serpenti. Si potrebbe perciò supporre che si tratti di statue di Asclepio e di Igea, ma potrebbero essere Trofonio ed Ercina poiché ritengono che i serpenti siano altrettanto sacri a Trofonio che ad Asclepio. I più cospicui monumenti del bosco sono un tempio e una statua di Trofonio, anche questa somigliante ad Asclepio. La statua è un’opera di Prassitele. Vi sono ancora un santuario di Demetra dall’appellativo di Europe e uno Zeus Ietio, collocato all’aperto. Salendo da qui all’oracolo e da lì inoltrandoci sul monte, troviamo un tempio di Core cosiddetta Thera e un tempio di Zeus Basileys (leggi “basileus”, cioè “re”)…Ed ecco il rituale osservato per accedere all’oracolo. Quando una persona decide di accedere all’oracolo di Trofonio per prima cosa trascorre un determinato numero di giorni in una cappella: la cappella è consacrata al Buon Demone e alla Buona Tyche. Vivendo qui, oltre a osservare tutte le altre norme di purità sacrale, si astiene anche dai bagni caldi: il suo bagno è il fiume Ercina. Ha anche a sua disposizione carne in abbondanza, proveniente dai sacrifici, giacché chi deve scendere da Trofonio sacrifica sia allo stesso Trofonio, sia ai suoi figli e ad Apollo, a Crono, a Zeus Basileus, a Era Enioche e a Demetra, che chiamano Europe e dicono che fu la nutrice di Trofonio” (IX, 39, 3-5).
Il nome Trofonio, scritto in greco Trofoonion, da trias (“ triade”) e foonh (leggi “fonè” = “suono della voce”) significa evidentemente “quello dalla triplice voce”, con allusione alle voci delle sue tre fonti di Lebadea. Ecco dunque perché era così famoso il suo oracolo, perché era un coro di tre oracoli. Ed era decisamente un Eroe fatto di acqua, dal momento che le sue statue classiche lo rappresentavano, come Asclepio che curava la gente con le acque, affiancato da serpenti (simboli dei fiumi).
Apollo era anticamente un dio delle acque in quanto era legato alla vita degli alberi (v. il mito di Apollo e Dafne) e al suo preteso possesso del serpente Pizio di Delfi. Crono era l’antico dio del Cielo che manda la pioggia, subentrato al padre Urano e padre di Zeus.
Zeus stesso era stato secondo me un fiume di Creta nato sul monte Ida ma l’appellativo con cui viene adorato qui, Basileus, ci dice che in età storica il dio olimpico si installò al posto di una antica divinità del monte, che doveva chiamarsi Basileus, cioè “re”. L’origine del termine greco per “re” doveva a sua volta essere una parola indo-europea composta da ba e sileus. Ba doveva significare “padre”, essendo la radice del termine indiano per “padre” che è “bapo” e sileus contiene la radice sile. La parola “sile” è alle origini del termine greco selene, luna ed è contenuta nel nome Sileno, sicuramente uno spirito dei fiumi montani, compagno di Dioniso, che a sua volta era figlio di Semele (corruzione di selene). Nelle antiche lingue mediterranee, era molto comune lo scambio delle vocali “e”, “i” e anche “a”) Quindi il dio precedentemente istallato sul monte sopra Trofonio si chiamava forse “Padre Luna”.
Ma è anche possibile che il nome Basileys fosse una corruzione e mascolinizzazione del nome Posilea, cioè “Acqua della Luna”, da po che è radice di tutti i nomi relativi al bere e all’acqua (es. poteòs = “da bere”, pòtamos = “fiume”, ecc.) e da sile, radice di selene (=luna). Il potere della luna sulle acque era riconosciuto da tutte le civiltà antiche e per questo la luna era considerata madre (o padre) della pioggia e del mare.
La dea Era, prima di diventare la protettrice dell’istituzione della famiglia, era la dea del Cielo e della fertilità in coppia con Zeus e il suo appellativo Enioche (“Guidatrice”) in realtà era frutto della sua sovrapposizione con una divinità antichissima locale, il cui nome Enioche poteva riferirsi alla guida del carro celeste della luna. Tutte le divinità a cui il pellegrino, che desiderava consultare l’oracolo di Trofonio, doveva sacrificare erano state evidentemente, nella storia delle religioni locali, genitrici delle acque del fiume Ercina e delle tre fonti di Lebadea e titolari del santuario posto sulla montagna S.Elia, dove esistono i resti di un tempio ellenistico (di Zeus Basileus) e di un santuario preistorico forse dedicato alla dea Midea (v. Paus. IX, 39, 1). Lì accanto c’è anche una bellissima roccia dipinta di bianco, come fosse una consacrazione, che assomiglia ad una testa di bimba e questo mi ha fatto sospettare che la roccia fosse il centro e l’origine dell’antico santuario di Core Thera.
Ma l’interrogante doveva sacrificare anche a Demetra Europe, la Madre Terra dall’appellativo di Eyrooph (leggi “europe”) cioè ”Dall’ampio buco” o “Dal largo occhio” poiché eyrys (leggi “eurus”) significava “ampio” e oph (leggi “ope”) voleva dire sia “buco”, sia “orbita oculare”, con possibile allusione agli orifizi da cui escono le fonti.
Ma la parola greca ops opòs oph significa “sguardo” oppure “volto”, per cui in questo caso il nome Europe significherebbe “Ampio Sguardo” o “Largo Volto”, appellativi adatti alla luna, madre indiscussa delle acque piovane. Questo perché la luna ha una faccia (triste e tonda) ma può sembrare anche l’occhio vigile di una madre che ci sorveglia, a volte con il suo occhio ben aperto, a volte con l’occhio socchiuso che riluce sotto alla palpebra. Questo significherebbe che la dea olimpica Demetra si è associata a Europe, una preesistente dea preistorica del Cielo.
Qui si dice che Demetra fu nutrice di Trofonio, l’acqua con tre bocche che vengono “allattate” da tre “capezzoli”o tre fori. Evidentemente, se in origine la Terra era stata considerata Madre delle acque (perché queste uscivano dal suo “utero”, la grotta), successivamente si ritenne la dea del Cielo (Cronia o Europe) come la vera madre dell’acqua (perché genera la pioggia) e la dea della Terra solo una balia. Ma la dea olimpica Demetra, appropriandosi del nome della precedente dea locale Europe, che forse significava “La larga faccia” o “dall’ampio sguardo”, può essere diventata una dea onnipotente, signora del cielo e della terra.
Nella parete di roccia sul versante sinistro dell’Ercina, qualche metro più a monte della torre Franca, esiste una grotticella lavorata in modo da formarvi una “panca” continua o un giaciglio in pietra lungo le tre pareti. Si suppone che fosse questa la “cappella del Buon Demone e della Buona Tyche”, in cui gli interroganti dovevano passare il periodo preparatorio ad essere ricevuti dall’oracolo di Trofonio. La grotticella si trova a circa tre metri da terra e sotto di questa c’è la seconda sorgente di Livadià, una polla d’acqua in cui si vedono innumerevoli piccoli fontanili sgorgare dall’alveo orizzontale del fiume. Se là c’era la “fonte dell’oca” (v. scheda n.21), questa doveva essere la “fonte del Buon Demone (“demone” non significava qualcosa di malvagio ma solo “piccolo dio”) e della Buona Tyche” (cioè della Buona Fortuna). S.Rizzo dice che essi, spesso associati in età romana, erano due divinità, a volte rappresentate con un serpente, protettrici della casa e dello Stato. Io ritengo che fossero almeno alle origini le personificazioni della seconda fonte e della dea lunare sua madre. E poiché in epoca romana la Buona Fortuna era una dea della fertilità e dell’abbondanza che reggeva una cornucopia, in origine poteva essere stata rappresentata in forma di capra come Amaltea.
Proprio di rimpetto alla prima e alla seconda fonte ce n’è una terza, che nasce dal fianco destro del fiume. E’ grandissima e varia, poiché l’acqua esce a fontanili dal fondo dell’Ercina ma anche da almeno un foro nella parete verticale della valle. Oggi purtoppo questa fonte a parete è obliterata dalla presenza di una costruzione moderna per la captazione dell’acqua ad uso dell’ acquedotto comunale. Ma la presenza di alberi pluricentenari dal tronco gigantesco e della chiesa dei santi Anargyroi mi fanno sospettare che questa fonte fosse quella di Demetra Europe, che aveva qui un santuario a cielo aperto in cui c’era anche la statua di Zeus Ietto. I santi cristiani Anarghiri, cioè “gli incorruttibili”, erano i due santi Cosma e Damiano.
E’ plausibile supporre che all’antichissimo santuario della dea del Cielo Europe si sia associata per prima la coppia Demetra-Core. Come ipotizza in modo convincente lo studioso inglese J. G. Frazer, nel suo libro “Il ramo d’oro”, in origine Demetra e Core rappresentavano lo spirito del grano: Demetra era il grano vecchio, Core il grano nuovo, ma essenzialmente erano la stessa cosa e spesso i loro nomi erano intercambiabili. E’ possibile quindi che in epoca tarda anche in questo caso il santuario fosse dedicato a Core Europe e, per distinguerlo da questo, il santuario di Core in cima al monte di S.Elia era dedicato a Core Thera, cioè Selvatica perché il santuario era fuori dalla città.
Nel frattempo, in epoca romana, era stata posta nel santuario di Core Europe la statua a cielo aperto di Giove Pluvio (“della pioggia”), subito dai locali ribattezzata Zeus Ietto (“della pioggia”).
Con l’arrivo della religione cristiana, il culto di Core-Europe fu sostituito da quello per San Cosma, poiché il suo nome significa “cosmo”, cioè “cielo”(kosmòs =cielo, firmamento), confermandoci così il vero significato di “Europe” (Ampio Sguardo e non Ampio Foro); mentre il culto di Giove Pluvio, a cui doveva essere stato aggiunto l’epiteto di Domine (Giove era il signore degli dei romani) fu rimpiazzato da quello per San Damiano, per assonanza con l’epiteto di Giove. Nel Sud italiano, di origine magno-greca, i santi Cosma e Damiano vengono chiamati S. Ciro e S. Giovanni, che sostituiscono sempre per assonanza i nomi di Core e Giove (Iuppiter Iovis).
In questa pittura rappresento in rosso la roccia possente della valle di Livadià, carne viva di Demetra, come una madre amorevole che educa le sue tre figlie fonti, che rappresento con segni blu in forma di fanciulle, mentre insegna loro a cantare in coro per dissetare gli uomini, farli sognare e progettare il loro futuro.
E Demetra diede al trio il nome suggestivo di Trofonio, la Triplice Voce.
Fernanda Facciolli, dal libro "Con Pausania sulle tracce di Esiodo", Marcianum Press, Venezia, 2014, pagg. 90-93.